Vi era un'epoca, quella fordista, durante la quale linguaggio, abbigliamento e capigliatura erano rigidamente disciplinati. Chi non si conformava a determinate regole non era "accolto nel sistema", era semplicemente chiamato a non farne parte, a rimanere fuori. E così abbiamo visto per decenni punkettarз ultra tatuatз rifiutatз ai colloqui di lavoro e giovani scapestratз costrettз a comprarsi giacca e cravatta. Non che questo conformismo sia oggi sostanzialmente scomparso, ma a partire dagli anni 2000 abbiamo assistito ad una curiosa inversione di questa tendenza. Le aziende hanno progressivamente allentato la cinghia ai loro metodi ultra disciplinari, i tatuaggi si sono trasformati in un'espressione artistica e l'estetica hipster è diventata fin troppo mainstream.
La comparsa, nella filosofia aziendalista, del diversity management esprime perfettamente questa tendenza: secondo questa scuola manageriale ogni forma di diversità (e anzi proprio quelle forme che fino a poco prima erano ritenute pericolose) viene riconosciuta come un valore, e quindi viene sussunta nei processi di capitalizzazione. In pratica, mentre nell’epoca fordista il capitalismo ci pensava due volte prima di assumere omosessuali, ambientalistз, persone di colore e stranierз, oggi la filosofia del diversity management promuove proprio queste scelte. La diversità, o meglio l’essere anti-sistema si è trasformata in un capitale da massimizzare.
Leggendo Realismo capitalista di Mark Fisher capita di imbattersi in una frase di un certo spessore: «il realismo capitalista riesce persino a contemplare una certa dose di anticapitalismo». È proprio questo il concetto al quale ci riferiamo. Il tardo capitalismo sembra aver incorporato ogni forma di comportamento umano, fino al punto che anche i comportamenti più genuinamente anticapitalisti si ritrovano inquadrati all’interno di logiche da cui il capitalismo stesso trova alimento.
Un buon esempio è l'ambientalismo. Per quanto la questione della catastrofe ecologica costituisca forse la principale leva per poter abbattere il neoliberismo, notiamo come questa tematica venga reiteratamente sfruttata da quelle stesse multinazionali che ne sono la causa: pubblicità di borracce ultra brandizzate e nuovi prodotti veg a base di soia e avocado non costituiscono una soluzione alla catastrofe ecologica, quanto piuttosto rappresentano l'ennesimo tentativo riuscito da parte del Capitale di incorporare tutto ciò che prova a ergersi contro di esso.
La domanda che sorge è: come è stato possibile tutto ciò? Sempre leggendo Realismo capitalista Fisher esplora la prospettiva lacaniana del filosofo Slavoj Zizek e prova a rispondere descrivendo il tardo capitalismo non tanto come un vero e proprio sistema del quale si può essere o non essere parte. Il capitalismo appare piuttosto come un'ideologia, una struttura inconscia che permea l'intera realtà sociale e che ci condiziona nella nostre scelte prima che esse si compiano. Questo è possibile perchè, come dice Zizek, il capitalismo sussume gli esseri umani "a livello del desiderio", precondizionandoci alla stessa maniera con cui una religione predetermina le azioni dellз propriз seguaci. In altre parole il capitalismo è una forza incarpibile che modella la nostra soggettività. Secondo Fisher è «un'atmosfera che agisce come una specie di barriera invisibile che limita tanto il pensiero quanto l'azione».
Se la situazione in cui ci troviamo è questa, risulta difficile riuscire a distinguere le forme di autentico anticapitalismo da tutte quelle pratiche di formale anticapitalismo che fanno a tutti gli effetti parte del sistema. Zizek ci aiuta a comprendere questa distinzione affermando che «l'ideologia capitalista consiste nella sopravvalutazione del "credo" (inteso come atteggiamento interiore soggettivo) a discapito di quanto professiamo coi nostri comportamenti esteriori. Fintantochè nel profondo dei nostri cuori crediamo che il capitalismo sia malvagio, siamo liberi di partecipare ad esso coi nostri comportamenti». Detto in parole povere, questo significa che ci troviamo in una pericolosissima trappola. Se il capitalismo è una forza che alberga nell'inconscio, è chiaro che qualsiasi gesto formalmente anticapitalista è sostanzialmente inefficace, è null'altro che puro ritualismo, e dunque finisce per rinforzare lo stesso capitalismo.
Negli anni '60 la narrazione anticapitalista aveva concepito il capitalismo come un padre maligno, una vera e propria entità malvagia che negava in maniera crudele e arbitraria il diritto al godimento assoluto. Anche grazie alle rigide strutture economiche e sociali che caratterizzarono l'intera epoca fordista, una cosiffatta immagine del Capitale era di facile identificazione. Era dunque relativamente facile riscoprirsi come anticapitalista, e se si considera la contrapposizione ideologica tra comunismo sovietico e capitalismo atlantico, si comprende il perchè non fosse possibile in quell'epoca concepire una forma di anticapitalismo di sistema.
Oggi tuttavia le carte in tavolo sono state completamente stravolte. La fine o il degenero dei comunismi nel mondo e il trionfo del neoliberismo come unico modello ideologico dominante hanno portato all'interiorizzazione a livello inconscio della mancanza di alternative al capitalismo. Come dice Fisher, «la dottrina tatcheriana del "There Is No Alternative" si trasformò in una spietata profezia che si autoavvera». Quando nessunǝ è statǝ più capace di immaginare un mondo possibile fuori dal capitalismo, la sterilità dell'immaginario si è presto trasformata in una sterilità nelle azioni politiche. Tutto ciò che rimaneva era resistere all'inesorabile avanzata del capitalismo.
Sintetizzando il concetto con le parole di Fisher, «l'anticapitalismo è diventato "di sistema" quando, in assenza di un modello politico-economico alternativo al capitalismo, si rinunciò all'obiettivo di rimpiazzare il capitalismo e si preferì cercare di mitigarne gli eccessi peggiori. Questo fenomeno ha fatto sì che le forme in cui il movimento anticapitalista si è espresso prediligessero più la protesta che l'organizzazione politica vera e propria». In pratica, «per il realismo capitalista, la contestazione è diventata una specie di burlesco rumore di fondo».
Secondo Mark Fisher, per ricostruire un anticapitalismo autentico occorrono 3 passaggi fondamentali:
Per organizzare una lotta veramente anticapitalista occorre prima di tutto acquisire consapevolezza della situazione in cui ci troviamo. Significa cioè riconoscere la natura ideologica se non addirittura religiosa del capitalismo. Mark Fisher cerca di essere preciso al riguardo e in Realismo capitalista ci insegna che abbracciare questa consapevolezza significa:
Non sarà possibile ricostruire un anticapitalismo autentico se non saremo in grado di sradicare i paradigmi ideologici che predeterminano le nostre scelte. A livello pratico questo significa acquisire un atteggiamento estremamente radicale. Una volta riconosciuta la natura dogmatico-religiosa del capitalismo neoliberale, dobbiamo costruire una controreligione anticapitalista capace di orientare le nostre azioni anche al di fuori della pura lotta politica. Alcuni atteggiamenti di estrema gratuità, come ad esempio la decisione di Bansky di distruggere una delle sue opere una volta entrate negli ingranaggi ultramilionari del Capitale, costituiscono ottimi esempi di che cosa significhi avere un comportamento autenticamente e radicalmente anticapitalista.
Qualsiasi atteggiamento autenticamente anticapitalista non può ignorare la problematica della mancanza di alternative. Il capitalismo si nutre di questa mancanza e dunque occorre mettere in campo tutti gli strumenti utili per costruire un progetto alternativo veramente in grado di contrastare e superare il capitalismo neoliberale. È chiaro, in questo contesto, che il pensiero accelerazionista costituisce un'opportunità senza procedenti.